MarinaMen' |
ÐÓÑÑÊÈÉ ITALIANO
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Vladimir Fainberg /
Marina Men' |
Marina Men'I *** Avevo ventidue
anni, quando mi capitò qualcosa di molto importante: venni a conoscenza
della presenza di Dio, di un mondo invisibile e, soprattutto, della
realtà dell’immortalità. A quei tempi
lavoravo come infermiera nel reparto di endocrinologia infantile NII[1]. In sostanza
lì c’erano bambini malati di diabete, ma capitavano anche pazienti con
terribili malformazioni congenite, davanti ai quali il problema del senso
appariva decisivo. *** 1983. Chi ero
io? “La figlia dell’esilio”[2]: così si
chiamavano gli ebrei che avevano perso la loro identità spirituale, ma
non per colpa loro. Crebbi in una famiglia dove Dio non esisteva, per Lui non
c’era posto né nella vita quotidiana, né nella coscienza, ma
riuscii a trovare un modo unico con cui Egli ci richiamò a Sé.
Divenni un profeta, attraverso il quale Lui aveva voglia di parlare. ![]()
E io parlavo.
A tutti: a casa, al lavoro, del fatto che la morte non esiste. Era la mia Buona
Novella. Come succede ai profeti, immediatamente iniziai a soffrire per essa:
ero sospettata di pazzia e venni licenziata «per un desiderio personale».
Ancora più terribili erano i sospetti dei miei parenti, di mia madre.
Mio padre allora non era più tra noi, ma penso che avrebbe sospettato
anche lui. Devo dire grazie al dottor Brandus, dal quale mi portò «per
conoscenza» mio zio, il fratello minore di mio padre che era medico di guerra.
Grosse labbra, prestante, ricco di esperienza e con un aspetto felice
(all’epoca tutti sembravano portatori di un benessere sovietico a me inaccessibile),
il dottore certificò a mio zio che ero psichicamente sana, ma venni
accusata di estremismo religioso. *** Ma di nuovo
l’identità personale ritrovata invocava in me e spingeva in cerca dei
suoi simili – il Popolo. All’inizio,
essa si rivelò in una piccola comunità ortodossa presso una
chiesa di campagna a quaranta minuti di strada dalla città, che la
letteratura classica yiddish chiamava Egupec[3]. Integrarsi con
il Popolo. Essere battezzata. Non avevo mai avuto pregiudizi contro Gesù
Cristo. In generale, non avevo mai avuto nessun rapporto con Lui. Non mi
ricordo di aver letto i Vangeli tutti di fila, allora. Probabilmente no, ma il
punto non era quello. Una vecchietta
piena di abnegazione e con una bocca biascicante mi diede dei rudimenti di Catechismo.
Cioè mi dettò il Simbolo di Fede, che imparavo a memoria, senza
che ciò suscitasse nessuna protesta o domanda. *** Questo
determinò un cambio di abito, di pettinatura. Chustka ucraina[4].
Guardo il mio riflesso nel vetro della finestra della casetta del guardiano
della chiesa. La divčina[5] tira
fuori il secchio dal pozzo, porta l'acqua nella chiesa e con fervore lava il
pavimento. Il parroco col suo vestito bianco troneggia a capo del lungo tavolo
ricoperto di metallo zincato. C'è persino un piccolo samovar elettrico
per dare un effetto pittoresco. Lungo il recinto della chiesa sono stati
allineati alberi di prugne e di ciliege. Bello! Fortunatamente,
d'inverno in chiesa non fa freddo. Il parroco, padre Michail, è un buon
padrone. Una delle cappelle è separata con un muro, così da poter
essere riscaldata. Una volta
rimasi in piedi durante una funzione a meno venti gradi in una chiesa non
riscaldata. Tre signore che cantavano si strinsero per farmi posto sulla panca[6]. Mi
avvolsero gli stivali con un tappetino di panno, ma tuttavia le mani e i piedi
si erano ghiacciati così tanto che era impossibile farsi il segno di
croce, le dita non ubbidivano. Nella chiesa enorme, a parte i cantori e il
sacerdote, c'era una signora anziana, sua moglie. Con occhi innamorati guardava
il vecchietto, il quale sembrava ispirato come il re Lira interpretazione di
Solomon Michoels. Al termine del canone eucaristico gli mancarono persino le
forze per la breve omelia. Dopo la funzione, la signora raccontò
una storia triste. Suo figlio si era gravemente ammalato. Chiesero una
parrochia più vicina alla capitale in modo da non fare troppa strada per
raggiungere i medici. Così vennero mandati a quella chiesa. Si
tormentano, ma niente da fare. L'incaricato, comunque sia, vieta i lavori di
restauro per la chiesa. Imparai a
leggere in slavo nel modo particolare in cui si canta. Iniziai a cantare nel
coro, poichè non riuscivo a stare senza far nulla. Queste attese! Stai
lì sola con i tuoi pensieri,
ascolti il borbottio confuso del lettore e non te ne vai, perchè capisci
che non c'è nessun posto dove andare. E proprio come la calda luce della
lampada si diffonde in te, questa tranquillità, nella quale risuona «Quanto sono amabili le tue dimore,
Signore degli
eserciti!»[7]. Dopo un paio
di anni, sentendomi completamente parte della chiesa, gradualmente mi
allontanai da questa famiglia cristiana, a causa di nuove prospettive che si
aprivano nella capitale dell'Ucraina. *** ![]() Kiev,
1985. Scendendo dal tram in piazza Bogdan Chmel'nickij, vedo un uomo con una
bellissima barba a ventaglio marrone, alto, mi sembra molto bello nel suo
cappello mongolo di cammello. Porge la mano a una donna elegantemente esile,
comoda, anch'essa avvolta in qualcosa fatto di pelliccia. Questo era il mio
sogno. Il sogno, mai realizzato, di essere elegante ed esile e porgere la mano,
scendendo dal tram, ad un compagno aitante con la costituzione di un eroe
epico. Subito faccio la loro conoscenza (tutta la vita a quel tempo consisteva
in una serie di coincidenze!). La donna si chiama Larisa e non è
più tanto giovane. Vive in un laboratorio artistico da qualche parte sul
versante della montagna che porta a Podol. Come al solito, i muri e il
pavimento del laboratorio sono dipinti con forme nello stile della pittura
infantile. Larisa parla con voce bassa e misteriosa. Il suo amico Viktor
è molto più giovane. Taciturno. Sembra che studiasse da pittore,
ma grazie a Larisa si ricredette. Vivono in questa romantica situazione.
Perchè? Solo Dio lo sa. Poco dopo, con la benedizione dell'istruttore
spirituale, Viktor lascierà il suo amore e il suo delirio artistico, si
sposerà nella sagrestia della cattedrale, diventerà prete e io lo
vedrò lì per un po' di tempo, finchè non gli verrà
assegnata una parrocchia di campagna. Per
ora bevo il te con loro. Poi andiamo in cattedrale per il Vespro, e quando
è finito ci spostiamo al monastero Pokrovskij. Lì il servizio
dura più a lungo e si possono ancora incontrare dei conoscenti. Ecco
Nadežda. È cresciuta in una «famiglia credente». Suo padre è
stato cresciuto dalle suore, quindi i suoi figli vennero perseguitati a causa
della loro fede, sono sopravvissuti tutti e cinque e sono riusciti a conservare
gli insegnamenti dei genitori negli anni più difficili. Durante il
digiuno, il latte non veniva dato neanche al fratello più piccolo. Solo
la domenica gli davano un bicchiere di siero. Nadja a volte viveva da una delle
zie a Belaja Cerkov'. In chiesa ci andavano solo a piedi, non curandosi dei
mezzi pubblici. Chiacchierare dopo la messa era vietato: «Leggi la Preghiera
del cuore!». Nadežda
lavora come maestro di cappella a Golosèevo. Ha una voce rauca, ma
comunque molto forte. Sa fare il suo lavoro e lo ama anche. Non è
sposata come, del resto, la maggioranza delle più o meno giovani
credenti che mi circondano. Sono
venuta a sapere dopo molti anni della sua morte tragica. Era sola e non aveva
legami, all'ultimo stadio del cancro al cervello venne mandata dall'ospedale in
un edificio in costruzione. A lungo mi ha perseguitato una visione: pareti di
cemento, pavimento in terra, e al centro della stanza una donna paralizzata su
una sedia a rotelle, sola. Non potevo credere a chi mi stava raccontando tutto
questo, non può succedere una cosa del genere! Succede, mi hanno
risposto. Forse che non dimettono i barboni e li lasciano per strada? Ecco
Nadja stessa che mi dà una busta stampata (?!). «Una lettera per te»… Il
messaggio è indirizzato a un «amico sconosciuto». L'ignoto autore della
lettera sostiene di aver sentito parlare di me da conoscenti comuni. Secondo
lui, solo io e nessun altro, sono tagliata per la realizzazione di una missione
di grande responsabilità. Un giovane, amico dell'autore della lettera,
ha bisogno di un sostegno spitituale. Per questo scopo occorre una donna in
quanto, essendo cresciuto solo con la mamma e senza un padre, egli si sentiva
più aperto verso una guida femminile. La donna deve essere ebrea in
quanto l'oggetto dell'influenza era ebreo. Deve lavorare nel campo della
medicina (la mamma era medico). E, infine, deve essere una persona di chiesa.
Si, si, sono io! Come Assol' di Grin[8] potevo esclamare: «Sono qua!». Ovviamente,
chi non vorrebbe educare per sè un marito cristiano! Tutti sanno che le
ragazze credenti devono sposarsi solo con i ragazzi credenti, e poi tutto fila
liscio come l'olio: tanti figli, la moglie con lo scialle e il marito con la
barba. Conosco
Sergej, l'uomo che mi aveva scritto la lettera, e il suo amico. Si guadagna da
vivere facendo delle ripetizioni, perchè ha studiato matematica
(perchè è un matematico di formazione) ma ha una vocazione da
pedagogo. La vocazione all'insegnamento si era manifestata in lui esattamente
come la brama di un'istruzione cristiana. Viveva in un monolocale non
lontano da Piazza Pobeda. Portava i capelli lunghi e la barba alla Abraham
Lincoln, lo sguardo era vivace e attento, l'aspetto era estremamente attraente,
soprattutto per le ragazze non sposate. E
non solo per loro. Il KGB si era attivamente avvicinato a Serëža. Gli
avevano offerto di diventare Azef[9]: un
uomo attivo, con idee proprie, aveva messo radici nel cuore dei credenti. Era
noto che Galina Borisovna gli aveva mandato l'agente B. Comunque,
Serëža non trovò nulla di meglio che iniziare la sua
formazione spirituale. Questo era il ruolo che mi era stato assegnato… lo scopo
e mezzi per il suo raggiungimento. Grazie a me, B. avrebbe appreso come
è bello essere battezzati cristiani. Non
entrerò nei dettagli. In questa storia ci furono pasti apparecchiati
secondo i principi della dietologia americana, dove Serëža
troneggiava in testa al lungo tavolo e con entusiasmo faceva le porzioni nei
piatti che mi passava. Silenziose riunioni evangeliche. Le spiegazioni
incasinate e il battesimo improvviso di B. proprio in quella chiesa di campagna
dove ero stata battezzata anch'io, si sarebbe potuta chiamare una farsa, se
tutto non fosse finito presso una tomba al cimitero Bajkovoe. Dicono che i
KGBisti riuscirono a persuadere due signorine della cerchia di Serëža
a firmare una deposizione contro di lui sulla «propaganda religiosa». I documenti
per il suo arresto erano già pronti, ma venne ucciso in circostanze
singolari. Venne mandato con un amico in gita su una canoa nel serbatoio
Kanevskij. La barca si rovesciò non lontano dalla riva deserta, l'amico
riuscì a fatica a uscire dall'acqua, venne ripescato da un UAS[10] della
polizia che non si sa da dove fosse stato portato là. (Poco dopo questi
fatti l'amico si trasferì all'estero: quanto di questi segreti non
complicati custodivano molti emigrati!). Serëža venne ritrovato solo
dieci giorni dopo, qualche chilometro più avanti, trasportato lì
dalla corrente… Mentre
io, come risultato, venni ammessa nel coro della cattedrale Vladimirskaja. La
fidanzata di Serëža (aveva una fidanzata che veniva da una delle
più rispettabili famiglie di Mosca) dirigeva il coro a sinistra. Questa
tappa della mia formazione spirituale durò due o tre anni. La si
potrebbe chiamare: «la ragazza cantò nel coro della chiesa». *** Di politica
non capivo nulla. Avevo una paura terribile di tradire qualcuno per caso.
Grazie a Dio, che mi ha preservata, nessuno mi interrogò mai, nè
mi spinsero mai in qualche macchina, nè fecero mai irruzione nel mio
appartamento. Qualcosa di simile successe a dei conoscenti. Dalla
prigione uscirono quattro ragazzi simpatici, che avevano preso tre anni di
sistema penitenziario per la diffusione di volantini nel giorno della memoria
dei sacrifici del regime staliniano. Due ragazzi e due ragazze.
Successivamente, a coppie, si sposarono. Di nascosto arrivarono in campagna per
il matrimonio. Io mi infastidii: un cristiano era obbligato a lottare contro il
regime? Loro, probabilmente, pensavano che fossi un delatore. In
genere il sospetto e la diffidenza avvelenavano l'esistenza. A Kiev c'erano
alcuni gruppi cristiani, e un paio di volte mi capitò di incontrarli,
prendendo grandi precauzioni. Non suscitarono nulla in me, solo delusione. E
perplessità: perchè rischiare per ascoltare qualcosa che è
già chiaro? Io ero un'esperta. Padre Michail, che mi aveva battezzata,
aveva una teoria secondo la quale piantare un chiodo in chiesa, o lavare il
pavimento, vale di più di un'ora di chiacchiere degli intellettuali. Decisi
che non mi sarei mai legata a questo stato, cosicchè i KGBisti non
avrebbero avuto nessuna leva per la mia manipolazione. Di conseguenza non
pensai ad un'ulteriore formazione, sebbene dall'inizio fosse sottinteso che
dopo la scuola per infermiera, ovviamente, sarei passata all'istituto. Così
si formò la mia doppia coscienza marginale: primo, dopo la scuola venni
a sapere che la maggior parte degli istituti universitari e delle professioni
erano chiuse per me a causa della mia origine ebrea. Riuscii ad iscrivermi al
terzo tentativo nell'università della città di Ivano-Francovsk di
petrolio e gas. Ma poi venne fuori che queste occupazioni rendevano la vita
definitivamente priva di senso. Mi venne l'idea di ricorrere, come lo chiama
ora la psicologia, all'aiuto della professione. Quindi, essendo stata
battezzata ed avendo ora lo status di credente, venendo a conoscenza
(assolutamente in modo superficiale) delle idee dei dissidenti e dei monarchi,
che all'epoca gironzolavano alla rinfusa nelle teste dei credenti, prese piede
una riluttanza che aveva qualcosa di simile all'sovietico. Lavoravo come infermiera nel reparto
osseo-purulento sette giorni al mese. Gli altri giorni, visto che c'era una
cattedrale vicino all'ospedale, «cantavo nel coro della chiesa». Veramente,
a volte sorgevano delle complicazioni. Lo Starosta della cattedrale, vedendo
una volta il mio cognome nella lista dei cantori, esclamò, che «questi»
(ebrei? dissidenti? Men'?) non canteranno lì. Mi difese Caterina, il
maestro di cappella, la sfortunata fidanzata del povero / defunto Sergej. Ma,
se devo essere sincera fino in fondo, sentivo una certa distanza fra me e la
popolazione della chiesa slava, sebbene all'inizio pensassi che questa distanza
sarebbe stata distrutta dal battesimo. Alla
fin fine, come al solito, la medicina, «la professione che aiuta» mi
stancò, mi sentivo una «rotellina» in un meccanismo guasto chiamato
«sanità pubblica sovietica». Inizialmente feci non poca fatica ad
impadronirmi della parte «pratica» della professione, iscrivendomi ai corsi per
diventare infermiera, mi sentivo una narodovol'nyca
che andava «al popolo»[11]. Ma
questa attività non si poteva riempire, lo spazio enorme della persona
in lei rimase irrealizzato. Mi
avvicinai alla famiglia V. La casa
aveva una targa commemorativa. Poeti e artisti. Andavano da Aleksandr Men' per
battezzarsi e per chiedere consiglio (Io non ci andavo. Era tutto chiaro. Chi
poteva dirmi qualcosa di nuovo?). Il grande appartamento a cinque stanze degli V. era, tuttavia, un tipico club
bohèmien. Mi piaceva, mentre agli occhi dei «cattedralini» era
un'eresia. I
V., come toccava agli artisti,
vivevano tra Kiev e Mosca. In questo modo si attuava nella mia vita una ??? da
qualche parte nell'88, già dopo le festività del Battesimo[12]. Di
questo mi ricordo preciamente. *** … Guardandomi
indietro capisco che il Suo sguardo premuroso mi ha accompagnato in tutti il
mio vagabondare; Egli era indulgente con me, era protettivo, mi lasciava
libertà assoluta. E io cercai di divincolarmi da innumerevoli pregiudizi
– religiosi, sociali, nazionali, etici… Quindi,
Mosca. A nessuno veniva in mente che presto tutto quanto intorno a noi sarebbe
cambiato. Nella coscienza della vita quotidiana dei molti dominava la
residenza, il libretto di lavoro. Compio un atto di coraggio inaudito. Esco di
casa, senza pensare a dove andare: e così Lo incontrai. *** Primavera
precoce. Mi trovavo in una dacia da generale nei dintorni di Mosca. Avevo un
sacco di tempo libero in un abisso di solitudine. Prima di tutto leggo con
attenzione la Bibbia, in modo consecutivo. Durante quella
primavera scrissi qualche appunto di diario, ovviamente non li ho conservati,
ma almeno me li ricordo. In essi confessavo il mio tradimento nei confronti del
popolo che mi aveva generata. Debolezza, umiliazione, decadenza, questo era
legato nella mia coscienza al concetto di «ebreo». Il Cristianesimo,
l'Ortodossia, li percepivo come un concetto etnico: tradizione slava. Ma come
potevo, da ebrea etnica, diventare slava? Forse, se la mia storia si fosse
sviluppata diversamente e se all'inizio degli anni '80 avessi incontrato dei
giudei, la mia religiosità avrebbe preso un altro colore. Mi permetto di
andare alla sinagoga. Leggo i popolari volantini ebrei. La mia «cruda
verità» ortodossa è molto simile alle prescrizioni religiose
giudaiche. Nella sinagoga gli ebrei dicono che Gesù non è Dio.
Alcuni di loro, perlopiù pensatori, ammettono la realtà della Sua
presenza e addirittura non hanno nulla in contrario con i suoi insegnamenti. Il
loro peggior nemico è San Paolo, il quale gettò le basi
dell'antagonismo. Bisognava
operare una scelta ragionevole. Ma come? *** Vennero
i tempi in cui dai negozi sparirono gli alimenti, la svalutazione del denaro
rispecchia il costo di un bastone di pane, che quasi tutte le settimane cambia
un pochino. Nella vita quotidiana apparve l'«aiuto umanitario», cioè dei
prodotti stranieri che sembravano un lusso: pasta, cacao, fagioli in
scatola, olio di semi in belle ed
inusuali confezioni. Così nella nostra vita iniziò a farsi strada
l'estero. Una
volta, a Kiev, mi era capitato fra le mani un pesante volume scritto a macchina,
con delle fotografie in bianco e nero, incollate. Il libro si chiamava Aleet Bostok. In esso si parlava di un
complotto mondiale ispirato dal nemico del genere umano che, a causa
dell'avvicinarsi della fine del mondo, cercava di unificare tutte le religioni,
in modo che l'Ortodassia si sarebbe dissolta e livellata ad un qualche
surrogato spirituale universale. Questa lettura fu capace di infondermi
terrore, una sensazione di sprovvedutezza, di impotenza davanti a una persona
dai versi severi e implacabili. Il bisogno di protezione, che solo il sostegno
del Cristianesimo può dare, è l'Ortodossia. Solo l'Ortodossia,
infatti, custodisce in modo intoccabile la tradizione antica, senza ammettere
in sè gli influssi maligni della modernità, in corso già
da molti secoli. Vagavo
per Mosca. Visitai diversi circoli cristiani, che a quel tempo si
moltiplicavano a dismisura. Chissà come, durante un incontro, marito e
moglie, com un'intonazione pioneristica piena di energia, raccontarono di un
viaggio all'estero da qualche parte, forse in Svezia. «Là ci sono dei
marciapiedi così puliti» si entusiasmavano interrompendosi a vicenda
«che ci si può sedere con i pantaloni bianchi sul bordo del marciapiede
e non sporcarsi il sedere!». Mi venne da ridere. L'estero sembrava in qualche
modo del tutto irraggiungibile. Quindi perchè convincersi? Mi
invitarono ad un incontro ecumenico invernale a Praga, che era organizzato dal
centro Taize. Ci vado insieme ai nuovi amici moscoviti. Anche
le mie conoscenze di Kiev ci vanno, ma con delle riserve: il loro compito
è quello di testimoniare la verità dell'Ortodossia. Essi «testimoniano» sul ponte Karlovij vendendo dei
souvenir preparati da loro. Mi
piaccono i canti di Taize in diverse lingue, e d'altro canto tutto questo
sembra un gioco, non c'è nessuna intensità di sforzo spirituale
al quale avevo legato un'idea di messa. Mi sento una vecchia. Tutti intorno
sono brillanti, emancipati, mentre io non posso costringermi a scherzare con
loro, sebbene i loro giochi mi siano molto simpatici. Come eravamo penosi nei
nostri cappotti e stivali umidi. «SALMO 88» Mi
ricordo di aver letto queste parole dal Salmo 88 come una rivelazione nel 1988.
Come spiegazione di tutto quello che succede. Si sono rivolti al mio popolo
attraverso il sangue. Ma probabilmente anche verso quel paese chiamato «Santa
Rus'», Egli non poteva non essere esigente e severo, come verso Israele, il Suo
primogenito. [1] Naučno-Issledovatle’skij
Institut, Istituto di Ricerca Scientifica. [2] Definizione ebraica per gli ebrei nati
in esilio. [3] Kiev. [4] Foulard tipico che le donne di Chiesa
indossavano per rendere evidente la loro appartenenza. [5] Ragazza, in ucraino. [6] Nelle chiese ortodosse il coro si
trova a destra e a sinistra dell’iconostasi, la parete di icone che separa
l’altare dall’assemblea. [7] Salmo LXXXIII, 2. [8] Aeksandr Grin, (1880-1932), Alye Parusa. [9] Famosa spia della pollizia zarista. [10] Jeep. [11] Membro della società segreta
populista degli anni ’80 dell’Ottocento, Narodnaja Volja, che fece la
cosiddetta «andata al popolo» per acculturare i contadini. [12] Nel 988 il principe Vladimir di Kiev
si convertì al Cristianesimo, e con lui tutte le terre da lui
conquistate. |